La Corretta Alimentazione nel Pre-Diabete

Intro

Il termine Pre-Diabete, promosso dall’American Diabetes Associaton, viene utilizzato per indicare una condizione di ridotta tolleranza al glucosio o alterata glicemia a digiuno. Più che un entità clinica autonoma, deve essere considerato come uno stadio convenzionale che si colloca lungo un continuum che contrassegna la storia naturale del diabete e che ne lascia prevedere la futura comparsa, di fatti la presenza di quest’ultimo può aumentare il rischio di insorgenza di diabete conclamato da 3 a 10 volte, motivo per cui la sua identificazione e trattamento sono indispensabili per prevenire o ritardarne la progressione.

Le caratteristiche del Pre-Diabete

La ridotta tolleranza al glucosio rappresenta quella fascia in cui i livelli di glucosio nel sangue e i livelli di insulina circolante sono superiori alla norma, ma non così elevati da sfociare in un vero e proprio diabete conclamato. Questa è la fase che precede l’insorgenza del diabete mellito di tipo 2 ed ha la caratteristica di essere asintomatica, a tal punto che moltissime persone presentano una condizione pre-diabetica senza esserne consapevoli. Il pre-diabete, inoltre, rappresenta un disturbo metabolico multifattoriale complesso che si estende oltre il controllo glicemico, diversi studi hanno confermato di fatto che i disturbi microvascolari, tra cui retinopatia, nefropatia e neuropatia; i disturbi macrovascolari, come ictus, malattie coronariche e malattie vascolari periferiche; la disfunzione cognitiva; gli abbassamenti dei livelli di testosterone; i cambiamenti della pressione sanguigna e l’insorgenza di cancro sono tutte condizioni che possono essere presenti quando si instaura la disregolazione glicemica.

La Diagnosi di Pre-Diabete

Per verificare la presenza effettiva di un pre-diabete è necessario effettuare tre accertamenti in particolare:

  • Valutazione della glicemia a digiuno attraverso esami del sangue
  • Determinazione di una glicemia occasionale anche non a digiuno
  • Test di tolleranza al glucosio orale

I criteri diagnostici del diabete mellito, stabiliti dall’Associazione dei Diabetologi Americani, riflettono le attuali conoscenze epidemiologiche e metaboliche, e si basano sui valori della glicemia a digiuno e sulla risposta in termini glicemici alla somministrazione orale di 75 g di glucosio sciolti in acqua (curva da carico). Secondo questi criteri un individuo viene definito diabetico se presenta una glicemia maggiore di 200 mg/dL in un momento qualsiasi della giornata, se presenta una glicemia a digiuno maggiore di 126 mg/dL, oppure se la curva da carico mostra valori glicemici maggiori di 200 mg/dL dopo due ore dalla somministrazione di glucosio. Soggetti con glicemia a digiuno compresa tra 110 e 126 mg/dL e tra 140 e 200 mg/dL dopo due ore dal carico di glucosio sono considerati pazienti con intolleranza al glucosio e sono a rischio di sviluppo di diabete mellito.

La presenza di eccessivi livelli di glucosio circolante causa la glicazione aspecifica delle molecole proteiche, tra cui l’emoglobina. La presenza in circolo di emoglobina glicata non costituisce di per sè un criterio diagnostico, ma può fornire indicazioni sull’entità dell’iperglicemia, ed è utile per valutare l’efficacia della terapia sul controllo glicemico. Secondo l’American Diabetes Association può essere indicativo di una condizione di diabete
un valore di emoglobina glicata uguale o superiore a 6.5%. Di conseguenza, seguendo questo criterio diagnostico, si può configurare una condizione di pre-diabete con valori di emoglobina glicata compresi tra 5.7% e 6.4%.

Raccomandazioni Nutrizionali nel Pre-Diabete

Adottare una sana alimentazione ha lo scopo di mantenere costante nel tempo il valore della glicemia, evitando brusche e continue oscillazioni post-prandiali. A tal proposito, uno degli errori alimentari più diffusi, e purtroppo sottovalutato per la gravità delle sue conseguenze cliniche, sta nel mangiare alimenti senza conoscere la loro capacità di provocare il rialzo glicemico. L’improvviso e brusco rialzo della glicemia, conseguente all’ingestione di un particolare alimento, è una situazione di grave stress metabolico ed ormonale per l’intero organismo, dato che il pancreas dovrà secernere più insulina per riportare la concentrazione del glucosio entro la norma.

L’obiettivo preventivo di una sana alimentazione è scegliere alimenti in grado di non causare brusche ed improvvise variazioni alla glicemia e tenere a bassi livelli la secrezione di insulina da parte del pancreas. L’innalzamento dell’insulina provocata dall’aumento del glucosio nel sangue causa, inoltre, un aumento della permeabilità della membrana degli adipociti al glucosio, fatto che favorisce la trasformazione di queste sostanze in grasso di deposito.

In questo contesto è molto importante abbinare alla dieta sempre l’attività fisica, dato che la sedentarietà è un fattore di rischio per il diabete. Di fatti, è utile ricordare al paziente che l’attività fisica migliora il controllo glicemico, la sensibilità insulinca, riduce i fattori di rischio cardiovascolare e permette di mantenere più a lungo la perdita di peso. Inoltre favorisce un maggiore senso di benessere e aumenta l’autostima e la fiducia in se
stessi.

Complicanze a lungo termine

Le conseguenze a lungo termine di un alterato profilo insulinemico sono l’aumento del peso corporeo, l’accumulo di massa grassa nella cavità addominale nell’uomo e nel tessuto sottocutaneo nella donna. L’eccessiva esposizione del corpo umano all’insulina favorisce dunque l’obesità, la steatosi epatica, inestetismi vari della cute, la cellulite, l’ipertensione arteriosa, l’accumulo di colesterolo e di trigliceridi e malattie cardiovascolari. Per evitare ciò, occorre limitare il più possibile i picchi di insulina durante la giornata, seguendo un’alimentazione in grado di impedire bruschi e continui rialzi della glicemia garantendo così valori più costanti nel tempo.

Conclusioni

Il diabete, essendo una malattia cronica, può interferire profondamente sulla qualità di vita del paziente, per cui è importante che si instauri una buona relazione terapeutica con il Nutrizionista per fare in modo che i risultati dell’intervento terapeutico siano duraturi. È necessario per il professionista possedere buone capacità relazionali, di ascolto e di osservazione; utilizzare un linguaggio chiaro e comprensibile in modo tale da mettere la sua competenza a disposizione del paziente, assumendo un atteggiamento empatico e che proponga di volta in volta soluzioni alternative, rendendo anche la dieta più varia.

Al paziente devono essere date tutte le informazioni che lo rendano capace di gestire la propria alimentazione, come per esempio l’utilità di seguire una dieta per il diabete e il contenuto nutrizionale degli alimenti. Circa l’80% dei pazienti affetti da diabete di tipo 2 è anche obeso o sovrappeso, per cui la terapia dietetica è parte integrante del trattamento. Studi recenti hanno dimostrato che il cambiamento dello stile di vita è molto più efficace della terapia farmacologica, risulta importante perciò adottare strategie che modifichino in maniera stabile lo stile di vita.

La dieta deve essere bilanciata e mirare ad una riduzione del peso corporeo attraverso l’incremento del dispendio energetico e la modulazione dell’apporto calorico. Una perdita di peso modesta, anche solo corrispondente al 5-10% del peso iniziale, è in grado di migliorare i livelli di glicemia, la sensibilità periferica all’insulina, oltre che prevenire l’insorgenza di tutte le complicanze associate all’obesità, come ad esempio l’ipertensione
arteriosa. Un modesto cambiamento dello stile di vita, attraverso leggere modifiche dietetiche e un aumento dell’attività fisica sono oggi la base delle strategie di prevenzione del diabete di tipo 2 e dell’insulino resistenza.

Bibliografia

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